martedì 30 novembre 2010

LA FINE DEL MONDO

Lascio Carpi, e qualche secondo dopo il fischio anche la luce lascia la pianura. Sono circa le 16, e qui è tutto talmente piatto che il sole non può già essere tramontato.
Sono nel regno della nebbia. Qui comanda lei. Comincia a dissolvere i contorni delle cose e a mangiarne i colori.
Io, a bordo di questo serprente di ferro, le striscio in seno senza paura ma un po' rassegnato.
In una manciata di minuti cielo e aria sono dello stesso grigio, resiste solo il verde del prato più prossimo al finestrino. Mi domando se saprà affrontare anche il freddo e l'umidità, prima di cedere alla notte.

Non credo che la temperatura sia molto più bassa di quando sono partito questa mattina, eppure in mezzo a questo grigio basta lo spiffero di un finestrino che non chiude bene, a farmi sentire insicuro. È qualcosa che non capisco, è un brivido che non controllo e che forse non mi appartiene nemmeno. Mi sento stanco, provato, vagamente agitato. Mi sento un po' grigio anche io.
Anch'io, come questo prato che scorre tutto uguale a sinistra, vorrei solo chiudere gli occhi e addormentarmi, per riaprirli al primo giorno di sole.

Sono 8 ore che viaggio, e non vado al bagno né bevo da questa mattina. A Modena ho mangiato un panino che in fondo nemmeno volevo, di fronte a una chiesa per me senza nome. Non è l'istinto, bensì lo spirito di sopravvivenza, che mi prende la mano e la fa frugare nello lo zaino.
Un mandarino.
Ha un colore fortissimo, un arancione così deciso e splendente che sembra il frutto di un altro pianeta. Non ha niente a che fare col grigio, col prato, col treno. Forse nemmeno con me.
Allora lo mangio. Ne faccio un solo boccone e tengo le bucce raccolte nei palmi, sotto il mio naso.
Chiudo gli occhi e non sento più freddo.
Chiudo gli occhi e sono da un'altra parte.
Chiudo gli occhi e penso a una storia che scrissi a un anno da qui.

venerdì 26 novembre 2010

L'ottavo viaggio

Fino a quel punto
avevo viaggiato solo
coi miei con la scuola
con amici
per andare da un posto
all’altro
mi ero spostato per
lavoro, perchè dovevo
fare una cosa
per vedere qualcuno
per fare il
turista
per andare in
vacanza

poi quella volta
decisi di partire
senza meta, progetti
panini o valigie
non ricordo nemmeno se
feci il biglietto
-andai per andare

lungo tutto quel tempo
non visitai nessun museo
non scattai foto
non andai in nessun posto
tipico
nè feci le cose che
andavano fatte per
forza
non controllai mai
l’orologio
non pensai mai a
casa

non mi sembrò che la gente
che incontravo
fosse migliore o peggiore
di quella che già
avevo conosciuto
non pensai al domani
non tradussi i sogni
nella mia testa
non avevo fretta
non smisi si avere pregiudizi
non smisi di essere curioso

fu l’unico vero viaggio
che feci in tutta
la mia vita

e ancora
deve
finire.

(Marco Zangari, 2009)

domenica 21 novembre 2010

...sì è sabato sera. E allora?

Non immaginerai mai da dove ti sto scrivendo.
...
Niente, eh? No, macché treno per Milano, macché Iphone. Sono a casa, in bagno. Nella vasca da bagno, per l'esattezza. Sì, proprio così. Me ne sto immerso fino al collo nell'acqua semi-bollente (Dio solo sa come ho fatto ad entrarci) e ti sto scrivendo. Sì, lo so che è sabato sera. E allora?

Preferisco starmene qui, tutto nudo allungato in un liquido che mi ustiona il 90 per cento del corpo e mi fa sudare a dismisura quel poco che avanza, la faccia.
Però mi sono attrezzato, ho il notebook a portata di mano. Per adesso va a batteria ma forse tra un po' dovrò attaccare il cavo della corrente.
Sto scrivendo, niente di più. Dopo leggerò un racconto che mi è arrivato via email e forse dopo ancora mi sparerò...un film. Naaa, cosa andavi pensando! Ok, concordo sul fatto che la descrizione della mia situazione possa far pensare alla scena di un imminente suicidio, ma ti assicuro che non ne ho la minima intenzione. Non sono in vena di gesti estremi, ho imparato a farne a meno. Certo a meno che non ritieni rischioso, secondo la tua valutazione, che io mangi un po' di cavolo cappuccio ben condito mentre faccio il bagno e scrivo. Sì, me ne sto nudo nella vasca con il pc davanti e una scodella d'acciaio con del cavolo cappuccio al mio fianco. Qualcosa in contrario? Convengo con te che non si tratti di un bello spettacolo, e che non sia tutta colpa del cavolo cappuccio, ma tant'è.
Stasera non ci sono per nessuno se non per te. E ho il cellulare e il cordless a portata di mano, ci fosse un'emergenza.
Perché solo il cavolo cappuccio? Perché ne avevo voglia, principalmente. Al discount è stato amore a prima vista, anche se in realtà ci sono andato per prendere due birre. Le birre sono un altro motivo per cui sto qui solo col cavolo. Le ho tracannate a casa di un amico guardando una partita di calcio, e per mandare giùla birra ho mangiato un chilo di patatine e una roba come dieci noci. Un paio di noci le ho rotte schiacciandole tra loro nella mano, come faceva mio nonno quando ero piccolo. Quando sono rientrato a casa mi sentivo ancora in gola una presenza mista di patatine e noci, quindi ho lavato e tagliuzzato un quarto di cavolo cappuccio. L'ho condito con un po' di peperoncino in polvere, e poi aggiunto aceto, olio e un pizzico di sale. Devo dirti che è davvero una bontà. A proposito, hai mai pensato all'enorme stronzata di mangiare verdure cotte perché "la verdura fa bene", ma poi quando la cuoci distruggi tutto il suo apporto vitaminico? A me certe cose mi lasciano senza parole. Un po' come quelli che fanno la comunione e poi augurano la morte al primo che taglia loro la strada usciti da messa. In un panorama come questo, l'immagine di me nella vasca da bagno a scrivere e mangiare un'insalata ben condita di sabato sera non è poi così allarmante, non trovi?

Ti chiedi se non avevo niente di meglio da fare? Non lo so, e onestamente non è che me ne frega granché. I telefoni sono davanti ai miei occhi, per le emergenze. Se non ci sono emergenze, adesso sto bene così. Ora te la faccio io, una domanda. Hai mai pensato a quanto è fantastico prendersi del tempo per sé?
Non voglio dire che uscire, andare a bere e a ballare, incontrare amici o farsi una scopata non possano essere considerati modi eccellenti per impiegare il tempo, anzi, beato/a te se stai facendo una di queste cose che desideri. Il punto è che io, che agisco sempre un po' affidandomi all'improvvisazione, ho scoperto per caso che questa era la migliore serata possibile. Il resto, se mi va, lo farò un'altra volta. Forse persino domani.
E poi di persone che vorrei vedere ce ne sono. Ma alcune forse non vogliono vedere me, altre non possono. Un amico sta vedendo Harry Potter al cinema, un altro è in Sicilia e dalla vasca mi resta un po' fuori mano. Un'amica non è ancora tornata dall'Argentina, mentre un'altra è oltremanica. Altri sono qui, qualcuno ha forse persino suonato il citofono, ma io sto troppo bene qui al buio. Sto così bene che a tratti posso chiudere gli occhi e immaginare di essere ovunque. Argentina, Sicilia, Inghilterra...

Perché scrivo? Che tu ci creda o no, sappi che a volte sento l'esigenza di scrivere. Hai visto che parolone? Esigenza. Per alcuni è il sesso, o vedere la Roma, per altri è il cibo o la droga. Per alcuni è leggere, o navigare senza meta. La mia invece è quella di scrivere. Sappi però che questo non fa di me nulla. Non fa di me uno scrittore né tantomeno un bravo scrittore. Di me fa solo uno che ogni tanto, mentre vive la sua vita normale, comincia a infastidirsi se non è riuscito a scrivere qualcosa.
Magari quel giorno ti svegli con la luna storta e credi di aver dormito male, di aver avuto un incubo o di aver mangiato pesante la sera prima. Te la prendi col cane, se ce l'hai, e fai un po' l'antipatico con l'amico e la ragazza. E invece tutto questo non c'entra niente. A un tratto butti giù qualcosa, anche solo due righe, e stai un po' meglio.
Chi me lo fa fare, mi dirai tu, e la risposta è che non-lo-so. È così e basta. E non è che ho una scadenza, un vero e proprio programma da portare avanti. Nessuno mi ha chiesto di farlo e non ho commissioni. Le uniche cose che mi vengono chieste, in termini di scrittura, sono le dediche dei regali di natale. Ma lì vado forte davvero. Niente male, eh?

Sai qual è la cosa difficile nella mia attuale situazione, qui nella vasca? Io non ci avrei mai pensato. È muovermi. Proprio così. Fatti i conti col sudore e coi rumori della strada, il difficile è muovermi. Intendo senza fare danni, naturalmente. La scodella col cavolo è sul piano della tazza, alla mia destra. Il blocco di appunti si regge per miracolo alle mie spalle, in bilico sul lato corto della vasca. Il notebook, che nel frattempo si è ciucciato metà batteria, invece è poggiato su una tavola di legno che è poggiata sul bordo lungo. Un vero casino. Prima a momenti facevo un patatrac per prendere un paio di forchettate di insalata. Il segreto è fare movimenti lenti. Il minimo errore comporterebbe un danno che andrebbe dalla caduta del cavolo a terra, con conseguente lavoro di pulizia con straccio & co., al tuffo del notebook nella vasca con me. Romantico, forse, ma decisamente non auspicabile. Pensa, in un attimo quello che ti sto scrivendo sparirebbe, insieme alle altre centinaia di cose già scritte che stanno ad ammuffire (informaticamente parlando) nel disco fisso. E se cadesse dopo aver attaccato la corrente per ricaricare la batteria? In un solo istante morirei io e sparirebbero molte tracce della mia esistenza.
Sono d'accordo, che brutti pensieri! Avevo anche detto che oggi non volevo nemmeno morire! Eppure nella vita c'è sempre qualcosa che non va come credevi, caro/a mio/a. Mi verrebbe da aggiungere "per fortuna", ma in questo caso la fortuna sarebbe al massimo quella degli altri.

A proposito di fortuna, tanti auguri per la tua serata, di qualunque tipo essa sia. Io me la sto già godendo.

In foto Lenny Kravitz (volevo mettere qualcosa che non c'entrasse niente con me)


PS:
Vabbe' però adesso mi sono stufato. Mi asciugo e vado a farmi un'ultima birra.

giovedì 18 novembre 2010

Ciao, maledetto ciao

Ciao piccola,

in questo momento sei di là e... in questo momento sei di là, basta questo. Basta, perchè non lo potrò dire più per un bel pezzo. Basta e avanza.

In questo momento sei di là, e siamo già alla fase dell’isteria, quella in cui ridiamo per tutto, soprattutto cose che non fanno ridere –che oggi sembrano includere praticamente tutto. È sempre così, man mano che l’ora si avvicina. Lo so, lo sai, lo sappiamo. Sentiamo l’agitazione nell’aria, e cerchiamo di pensare che sia qualcosa di positivo, quando in fondo di positivo non c’è niente, assolutamente niente.

Non è la fase dell’isteria che mi spaventa, e nemmeno quella in cui guardo fuori dal finestrino andando verso l’aereoporto, dando un addio mentale alla mia seconda casa. Non è la fase del check-in mano nella mano, ma è quella subito dopo, quando quella mano resta vuota.

Il momento in cui entri agli imbarchi è terribile. È come se tutto quel tempo ti fossi detto una bugia ininterrotta –non è vero, non può essere vero, non sta succedendo a me, questa partenza non è reale- e adesso capisci che è tutto vero, che non sta capitando a qualcun altro.

La cosa che ti fa realizzare tutto questo, in maniera istantanea e dolorosa, è la tua mancanza. Da quel momento in poi, tu non ci sei più. È questo che mi fa sentire solo, mi fa sentire straniero, mi fa sentire a metà –tutte cose che ho già provato, specie quel sentirmi sempre a mezz’aria, ma qui tutto è amplificato. Le orecchie mi risuonano delle tue parole, delle nostre risate, e intorno si crea il silenzio anche se sono circondato da gente. In quell’attimo lì mi sento intontito, perso. In quell’attimo ritrovo tutti i ricordi di questi mesi, che improvvisamente si fanno lontanissimi ma abbastanza vicini da fare male. In quell’attimo il respiro si fa difficile, e mi viene anche una vaga voglia di vomitare. In quell’attimo, tu non ci sei per la prima volta, e questa è una cosa che non riesco mai a sopportare.

Poi salgo sull’aereo, dopo essermi trascinato come un fantasma per i corridoi dell’aereoporto. Mi faccio trasportare. Non m’importa. Non è la mia vita, questa. Sono di nuovo uscito da me stesso. Mi vedo ordinare un drink, che non farà nessun effetto. Mi vedo evitare il finestrino. Mi vedo sospirare. Mi vedo immerso nei miei progetti a metà, nelle mie rincorse verso il niente, nella mia follia piena di amarezza. Mi vedo solo, come sarò per un pezzo. Mi vedo con le mani che cercano una penna per buttare fuori qualcosa, perchè tenermi tutto questo dentro vuol dire una morte al secondo. Mi vedo chiudere gli occhi, non per dormire, ma solo per non vedere.

Ed è allora che ti vedo a casa, con ancora gli occhi rossi, con le persone intorno a te che sono tornate più o meno alla loro vita, mentre noi non possiamo, mentre anche le cose più semplici si fanno per noi incredibilmente difficili, quasi impossibili, e ti vedo che stai leggendo tutto questo, e forse non ti farà stare granchè meglio, lo ammetto, ma anche il solo pensarti lì col tuo dolore fa sentire meno solo il mio dolore, saperti lì fa avere a tutto questo un senso, saperti viva fa sentire vivo anche me, saperti nel mio cuore mi fa sentire di averne uno, saperti che leggerai tutto questo e forse piangerai ma poi capirai quello che cercavo di dirti mi fa sentire come se posso ancora respirare bene, perchè quello che cerco di dirti, amore mio, è che non c’è un cazzo di problema, è che prima o poi tutti questi addii saranno solo brutti ricordi, e questo sarà solo un post su un blog che solo pochi riescono a raggiungere, e allora asciuga le lacrime, amore mio, perchè domani andrà meglio, perchè oggi è solo orrore ma anche oggi dovrà finire, e noi saremo ancora lì, in attesa di un’alba nuovo, di un nuovo anno, un nuovo giorno.

L’hostess si avvicina. È tempo di un altro drink. Facciamolo finire presto, questo oggi.

Ciao piccola.